STORIA DELL’ OMOSESSUALITA’
L'OMOSESSUALITÀ NELLA STORIA E CULTURA OCCIDENTALI
Non tutti sanno che il termine omosessualità è piuttosto recente.
In epoche antiche – precedenti all'avvento del Cristianesimo - non vigeva né storicamente, né socialmente alcuna opposizione tra eterosessualità e omosessualità, intesa come dimensione antitetica e in opposizione alla prima. L'elemento discriminante era costituito dal ruolo che si assumeva all'interno del rapporto sessuale, cioè l'essere “attivo” o “passivo”: Era pertanto considerato normale per il maschio, desiderare sia una donna che un uomo o un ragazzo, purché si assumesse il ruolo attivo. Inoltre queste forme di pratica sessuale venivano concesse solo agli uomini liberi che, per soddisfare i propri desideri, potevano scegliere donne e schiavi. Veniva invece disprezzato e ripudiato il comportamento “effemminato”: la società greca e quella romana erano profondamente maschiliste e consideravano la donna inferiore all’uomo. Perfino l’amore era considerato più nobile se tra maschi, piuttosto che nei confronti di una donna che aveva un valore solo in funzione della possibilità che offriva di mettere al mondo figli (tant'è che nell'antica Roma il marito poteva decidere di dare in prestito la propria moglie ad un amico la cui moglie era sterile) e come oggetto di scambio atto a rinforzare legami tra regni.
Questo tipo di morale familiare, tutta incentrata attorno alla figura del “pater familias”, venne completamente assorbita dalle comunità cristiane che a loro volta, la estesero a tutta la società.
Molti Santi cui la Chiesa fa riferimento, come San Paolo e Tommaso d’Aquino, considerarono gli omosessuali degni di morte. Fu invece Papa Pio V (anch’egli proclamato santo) a sancire che l’omosessualità dovesse essere punita con la condanna a morte. Una condizione esistenziale di “sodomia e effemminatezza” divenne così non solo deprecabile dal punto di vista morale perché peccaminosa, ma anche punibile. Il MedioEvo fu un periodo veramente nero sia per le donne che per gli omosessuali. Il numero di persone torturate e uccise nelle maniere più crudeli è incalcolabile. Tutto ciò che non era finalizzato alla procreazione era considerato peccaminoso, perfino all'interno del matrimonio: il controllo sociale dei corpi e in particolare del “femminile” era assoluto. Nemmeno lo stupro o l’incesto erano considerati gravi tanto quanto il sesso “non conforme”; fa male constatare che ad oggi molte persone la pensino ancora così.
Una cosa che non ho detto finora, ma che è bene sottolineare, è che l'omosessualità è sempre stata considerata una questione maschile. Fino al XX sec. l'omosessualità femminile non era concepita, così come non era considerato alcun aspetto della sessualità femminile. Alla donna non veniva riconosciuta una sessualità legata al piacere; quando se ne ravvisava l'esistenza era considerata peccaminosa o patologica e comunque, in entrambe i casi, da controllare, limitare o, addirittura, eliminare.
Soltanto l'avvento dell'Illuminismo portò a una riconsiderazione dell'omosessualità, per lo meno dal punto di vista giuridico: il codice Napoleonico stabilì l'abrogazione di tutti i “reati senza vittima” (eresia, blasfemia, stregoneria, ecc) mentre l’omosessualità fu derubricata a reato solo nelle condizioni in cui venisse praticata pubblicamente o con persone minorenni e non consenzienti. Questo passaggio fu fondamentale perché per la prima volta dall’avvento della civiltà cattolica si introdusse una distinzione tra vita sociale e vita privata e si stabilì che quest'ultima non era soggetta al controllo delle istituzioni.
L'OMOSESSUALITA' NELLA CLINICA
Intorno alla metà dell'800 anche la medicina iniziò a interessarsi di omosessualità seguendo due percorsi fin da subito diversi: una parte del mondo medico si concentrò sulla ricerca delle cause biologiche, endocrine e fisiche: ad esempio era opinione diffusa che gli omosessuali avessero il pene e l'ano diverso dagli eterosessuali (sembra assurdo, vero? Eppure ci sono medici appartenenti a gruppi ultrareligiosi che ancora lo sostengono). Un'altra parte , invece, iniziò ad esplorarne la dimensione psicologica. Per decenni sono state formulate e sostenute teorie scientificamente non dimostrate, frutto esclusivamente di pregiudizi e preconcetti, oppure condizionate da esperienze cliniche con pazienti la cui salute mentale era stata ridotta in pezzi dall'ostilità sociale subita. Nel tentativo di superare la connotazione morale e religiosa dell'omosessualità si incappò in un'altra, pericolosa, sovrapposizione: quella tra naturalità e normalità. Poiché ciò che appariva naturale (perché era sotto gli occhi di tutti) era l'eterosessualità, essa divenne “normale” e, quindi normativa. L'omosessualità, in quanto in opposizione all'eterosessualità naturale, divenne psicopatologica. L'omosessualità femminile, sebbene esistesse, non veniva ancora affatto contemplata.
Charcot , noto neurologo francese attivo nell'800 considerava l'omossessualità una grave malattia degenerativa, probabilmente correlata ad altri gravi disturbi.
Krafft-Ebing, coetaneo di Charcot ma di origine tedesca, fu il primo medico che partì da una concezione dell’omosessualità come malattia mentale ma poi, in seguito ai suoi studi, trovò il coraggio di fare clamorosamente retromarcia e si batté in difesa degli omosessuali.
Freud per primo iniziò a considerare l'omosessualità come una variante della sessualità: egli era convinto che essa potesse essere il naturale risultato di un normale sviluppo in alcune persone. Notò, infatti, che l'omosessualità era presente in individui che non avevano altri segni di devianza o menomazione nelle loro funzioni. Sebbene la considerasse una forma di immaturità psichica, non la considerò mai come un segno di una malattia, in quanto non era assimilabile a un sintomo. Egli fu anche il primo ad esprimersi con pessimismo e scetticismo rispetto alla possibilità di “conversione” degli omosessuali. Di tale condizione diceva, infatti, che “non è certo un vantaggio, ma non è un vizio, né una malattia” e che “ l'impresa di trasformare un omosessuale pienamente sviluppato in un eterosessuale non offre prospettive di successo molto migliori dell'impresa opposta”.
Finalmente inizia a diffondersi il termine “omosessuale”. E' un neologismo greco-latino, coniato in Germania nel 1869 e poi introdotto in Inghilterra nel 1892, frutto del tentativo di comprendere la sessualità principalmente in termini psicologici. Fino a ora, infatti, si utilizzava al suo posto le espressioni “inversione sessuale” e “invertito”.
In questi anni (siamo agli inizi del '900) si inizia a esplorare tutta la sessualità, compresa quella femminile e quella infantile. E pazienza se gli uomini raggiungevano l' orgasmo, mentre le donne tutt'al più arrivavano al parossismo isterico; fatto sta che al sesso iniziano a pensarci tutti. E, finalmente, il mondo scientifico si accorge dell'esistenza delle lesbiche.
Le teorie sull'orientamento sessuale erano però ancora influenzate da una dicotomia di fondo che portava a sovrapporre orientamento e genere: gli omosessuali maschi erano considerati “donne mancate”, e le lesbiche “uomini mancati”. Anche questa convinzione è stata assolutamente superata dalla scienza, eppure quanto è ancora fortemente radicata nella nostra cultura? Solo uno strepitoso Antonio Albanese, nei panni di Perego, un tremendo imprenditore brianzolo sostenitore di quel pensiero “celodurista” molto in voga nella nostra penisola, è riuscito a estremizzare, ribaltandolo, questo cliché culturale sostenendo che sua moglie e tutte le donne “ in fondo, non sono che dei gay mancati”. La sua, però, era ironia.
Con l’avvento del nazismo, purtroppo, si assistette a una ulteriore inversione di tendenza, con le conseguenze che tutti noi tristemente ricordiamo. Una nota: in questo periodo buio l'omosessualità femminile “scompare” di nuovo. Nei campi di concentramento agli omosessuali spettava il triangolo rosa, mentre alle lesbiche quello nero che denotava le persone più “genericamente” antisociali. In entrambe i casi, ahimé, nessuno si è salvato.
Intorno agli anni '50 però arrivarono le prime ricerche scientifiche veramente significative per la depatologizzazione dell'omosessualità:
Alfred Kinsey, un biologo e sessuologo statunitense, cambiò completamente il modo di guardare le problematiche relative all'eros. In pieno Maccartismo, quando l'adulterio era considerato reato, gli omosessuali venivano perseguitati e perfino il sesso orale era bandito, Kinsey pubblicò uno studio rivoluzionario che prese il nome di “Rapporto Kinsey” Egli sottolineò che l’errore fondamentale che si era fatto era stato quello di considerare l’omosessualità e l'eterosessualità come due eventi distinti. Kinsey mise in luce una sorta di gradazione del comportamento sessuale introducendo sei categorie che andavano da “strettamente eterosessuale” a “strettamente omosessuale”. Così scriveva: “La natura raramente ha a che fare con categorie discrete. Soltanto la mente umana inventa categorie e cerca di forzare i fatti in gabbie distinte. Il mondo vivente è un continuum in ogni suo aspetto. Prima apprenderemo questo a proposito del comportamento sessuale umano, prima arriveremo ad una profonda comprensione delle realtà del sesso.”[1] L'orientamento sessuale, quindi era fluido.
Ma lo studio che ebbe il pregio di mettere a nudo il pregiudizio clinico nei confronti degli omosessuali lo fece una psicologa, Evelyn Hooker. Ella presentò a una serie di colleghi esperti 60 test (30 di persone omosessuali e 30 di eterosessuali) senza svelare l’orientamento sessuale dei soggetti esaminati. Ebbene nessuno fu in grado di distinguere gli omosessuali dagli eterosessuali. Se l'omosessualità era una grave psicopatologia, come mai nessuno dei suoi colleghi fu in grado di riconoscerla?
Un ulteriore e significativo passo avanti avviene negli anni '70, quando, la ricerca inizia a concentrarsi sull'omofobia, piuttosto che sull'omosessualità, e sulle conseguenze che l'omofobia comporta. Quello che si incomincia a capire, in maniera sempre più nitida, è che l'omosessualità non è una malattia di per sé, ma una condizione esistenziale che può portare alla sofferenza a causa dell'impatto col mondo esterno. Ha sempre meno importanza capire perché una persona è omosessuale, ma diventa fondamentale capire perché si nutrono sentimenti di ostilità nei confronti degli omosessuali.
Nel 1974, l'American Psychiatric Association non solo elimina l'omosessualità egosintonica dal DSM (manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali), ma afferma che il riconoscimento dei diritti civili degli omosessuali è di fondamentale importanza per la tutela della salute mentale. Nel 1987 viene eliminata dal DSM anche la variabile egodistonica dell'omosessualità [2], in quanto esito dell'interiorizzazione dello stigma sociale.
A partire dal 1992, l'Organizzazione Mondiale della Sanità elimina completamente la diagnosi di omosessualità.
L’omosessualità viene definita a tutti gli effetti una variante naturale del comportamento umano che non richiede alcuna cura.
Nel 2012 arriva anche la condanna definitiva a tutte le teorie e tecniche riparative dell'omosessualità, poiché considerate crudeli, inutili e dannose... ma questa è un'altra storia!
[1]Kinsey, Il comportamento sessuale dell’uomo, 1948
[2]Nella versione precedente del DSM si distinguevano due forme di omosessualità, egosintonica e egodistonica a seconda che una persona accettasse o no la sua condizione.
Chi sono?
SERENA PERONI PSICOLOGA E PSICOTERAPEUTA
Civitanova Marche, Fermo, Macerata
Mi sono laureata in psicologia clinica e di comunità presso l'Università di Urbino. Come psicologa ho svolto attività di docenza in corsi di formazione professionalizzanti per assistenti alla comunicazione. Corsi di formazione per insegnanti sui Disturbi specifici dell'Apprendimento. Sono stata cultrice della materia presso l'Università di Macerata per la disciplina di Patologia della comunicazione. Ho collaborato alla progettazione e realizzazione di screening per la dislessia. Ho conseguito la specializzazione quadriennale post-lauream in psicoterapia ad orientamento analitico presso l'Isipsé di Roma (istituto di specializzazione in psicologia psicoanalitica del sé e in psicoanalisi relazionale), approfondendo gli aspetti relativi all'intersoggettività e alle tematiche di genere. Ho conseguito l'abilitazione alla pratica EMDR (Eyes Movement Desensitization and Reprocessing). Svolgo attività di libera professione dal 2010.
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