La disforia di genere non è più una malattia mentale.
LA DISFORIA DI GENERE NON E' PIU' UNA MALATTIA MENTALE!
Finalmente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha derubricato la disforia di genere dalle patologie mentali, sulla scia dello stesso percorso che – precedentemente – aveva riguardato le persone omosessuali e bisessuali.
L’ ICD-11, ovvero l’undicesima edizione del manuale della classificazione delle malattie e dei problemi ad esse correlati, stilato proprio dall’OMS, non la conterrà più.
“L’incongruenza di genere è stata rimossa dalla categoria dei disordini mentali dell’International Classification of Diseases per essere inserita in un nuovo capitolo delle ‘condizioni di salute sessuale'”, spiega l’Oms, “...allo scopo di poter garantire alle persone transessuali le cure necessarie a perseguire l’adattamento della loro identità fisica a quella di genere, ...dando così spazio a condizioni collegate alla salute sessuale e che non necessariamente hanno a che fare con altre situazioni codificate nell’Icd”.
Già da tempo psichiatri, avvocati, associazioni e attivisti si stavano battendo perché la transessualità venisse ufficialmente depatologizzata. Una richiesta che aveva trovato sostegno anche da parte degli ambienti istituzionali e che aveva visto già nel 2011 l’approvazione di una risoluzione da parte del Parlamento Europeo e sono diversi gli stati del vecchio continente che non la considerano più una malattia mentale.
Si stima che la percentuale di persone transessuali si aggiri intorno allo 0,005% della popolazione, percentuale che in Italia si traduce in circa 50.000 individui i quali – fino ad ora – hanno dovuto affrontare un percorso complesso e doloroso per vedere riconosciuta la propria identità di genere.
Attualmente per poter ottenere la transizione di sesso occorre avere una doppia diagnosi a cura di psichiatra ed endocrinologo, alle quali seguono una lunga cura ormonale e un periodo di transizione chirurgica che può durare fino a 4 anni per la vera e propria riattribuzione di sesso. A rendere un po’ più semplici le cose sono giunte qualche anno fa due sentenze della Corte Costituzionale le quali hanno sancito che per ottenere il cambio dei documenti non è necessario completare l’intero percorso di transizione fisica, ma basta dimostrare di avere un aspetto e di condurre uno stile di vita palesemente difforme rispetto al sesso biologico di appartenenza. Occorre considerare inoltre che il lungo percorso per la realizzazione di sé non termina con la transizione fisica, perché una persona transessuale deve conquistare il proprio spazio ogni giorno: costrette da sempre a vivere ai margini della società sono ancora vittime di un pregiudizio che le considera esclusivamente personaggi dediti alla prostituzione.
Sono felice di poter affermare di aver conosciuto persone transessuali che hanno potuto scegliere la loro professione e che hanno potuto permettersi di crescere, vivere e lavorare nella loro città natale senza dover fuggire e senza essere cacciate di casa in tenera età, ma la strada da fare – ahimé – è ancora molta.
Se è vero che essere transessuali non costituisce una malattia mentale, è altrettanto tristemente vero che la sofferenza, l’umiliazione, la discriminazione e lo stigma che le persone transessuali subiscono è così forte da rendere loro la vita estremamente difficile.
Una percentuale altissima di adolescenti transessuali tenta il suicidio almeno una volta nella vita ed è altrettanto preoccupante il dato relativo allo sviluppo di seri disturbi dell’alimentazione i quali raggiungono picchi di gravità tale da mettere a repentaglio la vita. Occorrono un grosso cambiamento culturale, una corretta informazione priva di faziosità e morale, assistenza medica e psicologica specializzata sia ai giovani e alle loro famiglie che devono essere aiutate a comprendere cosa accade ai loro figli in modo tale da poter essere – a loro volta- i primi elementi di sostegno e protezione per i loro figli.
Infine, mi permetto di consigliarvi la visione di film a tema usciti qualche anno fa: il primo, The Danish girl, è ambientato agli inizi del ‘900 e narra la storia della duplice vita di un pittore e del primo tentativo di cambiamento chirurgico del sesso. Il secondo, Transamerica, è la storia di una donna transessuale che scopre di aver avuto un figlio, frutto del suo unico rapporto sessuale quando ancora era di sesso maschile. Un film delicato, meravigliosamente scritto e interpretato che sfata molti miti sulla genitorialità “tradizionale”. L’ultimo è italianissimo ed è un docufilm che si intitola “Gesù è morto per i peccati degli altri” e parla della comunità transessuale che si prostituisce nel quartiere San Berillo di Catania. Un affresco bellissimo e delicato, assolutamente refrattario all’ovvio e agli stereotipi.
Buona visione!
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