Adolescenti e sesso, tra stereotipi e quotidianità
Adolescenti e sesso, tra stereotipi e realtà.
Recentemente ho partecipato con gioia ad un incontro sulla sessualità sicura fortemente voluto da un’associazione culturale e da un gruppo di adolescenti. Un incontro bello e pieno di ragazzi di tutte le età, alcuni di loro accompagnati dai rispettivi genitori desiderosi anch'essi di saperne di più e – immagino – desiderosi di comprendere l’affettività e la sessualità dei loro ragazzi entrando in contatto col loro mondo e il loro linguaggio. Un grosso tavolo in fondo al salone offriva materiale informativo, opuscoli, contatti e profilattici, il tutto accompagnato da qualche fetta di dolce. Al mio intervento è seguito quello di una ginecologa che, con assoluta serenità e correttezza ha illustrato ai ragazzi le varie modalità di contraccezione e di protezione contro le malattie sessualmente trasmissibili. La dottoressa ha scelto, per rendere la cosa più vivace e divertente, di coinvolgere i ragazzi in una sorta di quiz a risposta multipla i cui contenuti spaziavano dalla contraccezione ai tatuaggi, dal sexting alla relazionalità. Scelta felice perché non solo i ragazzi hanno partecipato volentieri (con qualche allegro sfottò nei confronti dei meno informati), ma anche perché è emerso chiaramente dalle loro risposte quanto sia ancora enorme la carenza di informazione corretta e di consapevolezza in tema di sessualità, nonostante la maggior parte di loro fosse sessualmente attiva e una parte perfino coinvolta in relazioni durature rispetto all’età.
Com’è possibile tanta disinformazione al mondo d’oggi con la facilità che c’è di attingere alle informazioni? Possibile che ci sia ancora bisogno di incontrare i ragazzi e parlare loro di “certa roba”, quando possono sapere di tutto navigando sul web?
Queste domande sono più frequenti di quanto si pensi; è opinione comune, infatti, che i millennials siano molto più liberi e informati di quanto non lo fossimo noi e meno influenzati dalle convenzioni e dagli stereotipi. Invece, un recente studio di Save The Children mette in luce più di un aspetto critico dell’uso dei media. Mi sono presa la briga di farne una sintesi nelle righe che leggerete di seguito.
Primo: il web non è neutrale rispetto al genere, ma riflette gli stessi stereotipi connessi alle esistenti disuguaglianze di genere e possono determinare specifiche forme di rischio e violenza on line nei confronti di bambine e ragazze.
Recenti studi dimostrano che i modelli di mascolinità e femminilità diffusi dalle tecnologie digitali sono spesso più forti e radicali di quelli proposti nell’ambiente familiare e generalmente quotidiano; ciò accade perché le macchine funzionano per algoritmi i quali, quando vengono programmati “assorbono” tutti gli stereotipi e i pregiudizi di chi li programma. Se di mezzo poi c’è il fatto di piazzare prodotti e generare trend la manipolazione è all’ordine del giorno.
Ma c’è di più. Gli stessi studi mostrano anche che il consumo di materiale pornografico è quotidiano nella vita dei ragazzi e che il modello pornografico diviene sovente quello preponderante di riferimento fino alle prime esperienze sessuali. 7 ragazzi su 10, di età compresa tra i 13 e i 17 anni ha avuto accesso almeno una volta a materiale pornografico. Una percentuale sensibilmente più bassa, ma ancor più significativa se si pensa al rischio che l’esposizione prematura a questo tipo di materiale può avere in termini di trauma e di conseguente sviluppo di un disturbo post-traumatico da stress, ha visionato filmati pornografici in un’età compresa tra i 10 e gli 11 anni.
Il principale rischio per i ragazzi e le ragazze è un’ipersessualizzazione relazionale e della propria identità, caratterizzata dall’accelerazione dei tempi per ciò che riguarda lo sviluppo e il consolidamento del proprio sé sessuato (e non dell’esperienza dell’atto sessuale).
Per le ragazze il modello predominante è quello di donna provocante, disponibile a tutto e magra, talvolta “rifatta” sebbene ancor giovanissima; per i ragazzi invece prevale l’immagine dell’uomo scolpito, palestrato, che ottiene tutto ciò che vuole e iper prestante. Entrambe sono modelli molto distanti dalla realtà quotidiana e causano frustrazione, disistima, inadeguatezza, ricerca e messa in atto di tutta una serie di comportamenti di adeguamento ai modelli proposti, con pratiche a volte lesive e molto pericolose.
Non solo, l’adeguamento ad un certo tipo di modello fisico e comportamentale costituisce spesso un vero e proprio diktat sociale che ne determina l’appartenenza ad un gruppo o, in caso contrario, la feroce esclusione. Ad esempio, da un’indagine condotta tra 1.300 ragazze delle scuole superiori di Milano nel 2011 dall’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (O.N.Da) è emerso che una ragazza su cinque ha il suo primo rapporto sessuale a 13 anni. Intervistate, alcune di loro hanno dichiarato che tra i gruppi vige una sorta di regola per cui occorre "sbarazzarsi" della verginità al massimo entro l’inizio del primo anno superiore se si vuole essere incluse nel gruppo delle ragazze “appetibili” per i maschi più grandi. Nessuna pietà, invece, per le “sfigate” ancora vergini a cui nessuna delle compagne vuole essere associata.
Insomma, se una ragazza ha 14 anni ed è vergine non va bene per i maschi e nemmeno alle amiche che ci fanno brutta figura a passeggiare con lei.
La vasta diffusione degli ambienti digitali, in particolare dei social network, sta modificando caratteristiche e ambienti delle dinamiche relazionali, influendo sui processi identitari in maniera del tutto nuova, rispetto alla quale spesso, non siamo attrezzati né come adulti, né come professionisti. Oramai tra le varie caratteristiche che contribuiscono alla formazione dell’identità non possiamo fare a meno di considerare l’identità digitale, talvolta addirittura molteplici. Per questo motivo non è più possibile né utile distinguere tra la vita online e la vita offline, ma occorre lavorare affinché anche questo nuovo aspetto identitario si integri nel sé di un individuo in maniera funzionale.
Un altro elemento su cui riflettere è la percezione della sicurezza e la reale consapevolezza di ciò che si fa.
Avere a che fare con uno strumento molto semplice da usare alimenta un’eccessiva sicurezza, una sottovalutazione delle conseguenze e una difficoltà a comprendere gli effettivi limiti di un consenso che spesso è “informato”, ma di rado sufficientemente consapevole. Circa 3 adolescenti su 10 ha ricevuto, contro la sua volontà, materiale pornografico esplicitamente violento. Circa il 15% di loro ha ricevuto materiale con contenuto sessuale da parte di qualcuno di loro conoscenza.
Ma c’è di più: i ragazzi non solo subiscono passivamente quanto loro accade, ma partecipano attivamente alla produzione e diffusione del materiale. Una percentuale che oscilla tra il 20 e il 25% di loro, sostiene che sia una pratica comune diffondere foto personali in cui si è nudi - o quasi - e in atteggiamenti sessualmente provocanti al fine di ottenere una serie di benefit quali ricariche telefoniche, soldi o abbigliamento.
Interrogati sulla sicurezza di tali pratiche, il 30% di loro ha risposto che diffondere le proprie cose è sicuro “perché lo fanno tutti”.
In pratica pensano che siccome tutti lo fanno, allora vuol dire che è sicuro. Una percentuale intorno al 40% sostiene invece che sia sicuro se lo si invia a persone fidate anche se non le si conosce di persona (quindi non solo amici ed eventuali partner, ma anche individui con cui si chatta soventemente e si crede di aver instaurato un rapporto di sana confidenza). Se il materiale è altamente intimo, la percentuale di ingenuità sale vertiginosamente: oltre il 40% dei ragazzi è convinto che sia sicuro diffondere materiale se il ricevente ti promette che non lo diffonderà a nessuno. Se poi dall’altra parte chi riceve si mostra disposto a condividere la propria “intimità”, la percentuale sale ancora di più.
Eppure almeno il 45% delle chat avvengono con sconosciuti e il 15% delle ragazze ha affermato di aver avuto incontri del tutto inaspettati nel momento in cui hanno deciso di conoscere chi c’era dall’altra parte dello schermo.
Infine, una percentuale intorno al 65% risolve la questione pensando che la responsabilità sia chi diffonde il materiale, non di chi lo produce.
Ora viene da chiedersi se di tutto questo i ragazzi siano consapevoli e felici: ebbene, una buona percentuale di loro dice che tutto ciò è “normale”. Normale.
Occorre fare uno sforzo in più per capire cosa intendono per “normale”, se non altro per uscire dal pregiudizio giudicante degli adulti rispetto alle nuove generazioni; la sovraesposizione a dinamiche fortemente stereotipate, a un linguaggio e contenuti precocemente e genericamente sessualizzati, la pressione sociale, economica e mediatica verso modelli altamente competitivi è determinante rispetto alla scelta di consumare, creare e diffondere un certo tipo di materiale e mettere in atto alcuni tipi di condotta appresi per osmosi e imitazione in maniera quasi del tutto inconsapevole. Tutto questo si traduce in una percentuale di oltre il 40% di adolescenti per i quali la “normalità” consiste nel non sentirsi affatto sicuri di quello che fanno, ma di percepire – al contempo - di non avere altra scelta.
All’indomani del nostro incontro coi ragazzi scopro che un esiguo numero di genitori appartenenti ad un’associazione “per la famiglia”, ha demonizzato buona parte del nostro intervento, perché sembrava voler diffondere un’idea di sessualità felice, spensierata e libera da stereotipi purché sicura e protetta (tradotto dalla loro lingua vuol dire: sesso fuori dal matrimonio, contraccezione e assoluta parità di valore tra relazioni eterosessuali e omosessuali)
Io mi sento di dire che l’intervento non “sembrava voler diffondere” un’idea simile, bensì VOLEVA proprio lanciare questo messaggio.
Non possiamo impedire ai ragazzi di sperimentare ciò che è sano e naturale sperimentare.
Non possiamo non considerare che il sesso è fonte di turbamento e curiosità e che la pornografia è qualcosa verso cui quasi tutti gli adolescenti sono curiosi (ora ci sono i vari youporn, prima c’erano i giornaletti e le videocassette dei cugini più grandi...e certe volte anche di mamma e papà).
Non possiamo, né è tantomento utile augurarci un mondo senza internet, perché il web – nonostante i pericoli che comporta – è uno strumento utile e necessario.
Possiamo solo chiedere se quello che vedono e vivono a loro piace e avere la pazienza (e il coraggio) di attendere che trovino la loro risposta.
Possiamo e dobbiamo, come adulti in primis e come professionisti, scegliere di stare accanto ai giovani, e impegnarci con loro nella ricerca di un equilibrio relazionale giocando, sperimentando e fallendo. Parlare con loro, non a loro.
Integrare informazioni e consapevolezza, all’agito impulsivo sostituire la fantasia, al sottomettersi l’abbandonarsi. Abbandonarsi perché si ha fiducia nella benevolenza dell’altro, ma soprattutto fiducia nella resilienza del proprio sé. Essere consapevoli e fiduciosi di essere sufficientemente capaci di stare in relazione e di poter sopravvivere agli eventuali fallimenti che la relazione con l’altro quotidianamente comporta.
*Per i riferimenti statistici:
"Abuso sessuale dei minori e nuovi media: spunti teorico - pratici per gli operatori", Save The Children, 2011
"Che GENERE di tecnologie? - ragazze e digitale tra opportunità e rischi", Save The Children 2018
Chi sono?
SERENA PERONI PSICOLOGA E PSICOTERAPEUTA
Civitanova Marche, Fermo, Macerata
Mi sono laureata in psicologia clinica e di comunità presso l'Università di Urbino. Come psicologa ho svolto attività di docenza in corsi di formazione professionalizzanti per assistenti alla comunicazione. Corsi di formazione per insegnanti sui Disturbi specifici dell'Apprendimento. Sono stata cultrice della materia presso l'Università di Macerata per la disciplina di Patologia della comunicazione. Ho collaborato alla progettazione e realizzazione di screening per la dislessia. Ho conseguito la specializzazione quadriennale post-lauream in psicoterapia ad orientamento analitico presso l'Isipsé di Roma (istituto di specializzazione in psicologia psicoanalitica del sé e in psicoanalisi relazionale), approfondendo gli aspetti relativi all'intersoggettività e alle tematiche di genere. Ho conseguito l'abilitazione alla pratica EMDR (Eyes Movement Desensitization and Reprocessing). Svolgo attività di libera professione dal 2010.
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