Psicologa Psicoterapeuta, Civitanova Marche, Macerata

A PROPOSITO DI OMOFOBIA

A PROPOSITO DI OMOFOBIA

Io ho sofferto il soffribile, non ho mai accettato il mio peccato,
non sono mai venuto a patti con la mia natura e non mi ci
sono neanche abituato.
Io ero nato per essere sereno, equilibrato, naturale; la mia omosessualità
era fuori, non c'entrava con me . Me la sono sempre vista accanto come
un nemico, non me la sono mai sentita dentro.

Pier Paolo Pasolini

“Omofobia” è un termine coniato dallo psicologo George Weinberg, per definire la paura irrazionale, l’intolleranza e l’odio nei confronti delle persone omosessuali da parte della società.
In pratica quell’insieme di pensieri, idee, opinioni che provocano emozioni quali ansia, paura, disgusto, disagio, rabbia, ostilità nei confronti delle persone omosessuali.
Sebbene venga associata alle comuni fobie, è opportuno specificare che c'è una grossa differenza tra chi soffre di una fobia specifica, quella cioè che viene definita “una paura marcata e persistente di un oggetto o di una situazione particolare, paura decisamente sproporzionata al pericolo che tale oggetto – o situazione – può comportare” (DSM-V) e chi, invece, nutre sentimenti omofobi. Infatti mentre nel primo caso gli effetti ricadono su chi ne soffre, limitandone la possibilità di godere di un'esistenza più piena (si pensi a chi ha il terrore di volare o il terrore degli spazi aperti, ecc), nel caso dell'omofobia a farne le spese sono le persone omosessuali o presunte tali che divengono oggetto di scherno,disprezzo e discriminazione. Chi è omofobo non ha quasi mai una vita sociale compromessa, né pensa minimamente di “sbarazzarsi” del suo sintomo, anzi, spesso è orgoglioso di essere così com'è. Non solo: l'omofobia può rendere anche molto aggressivi.

L'omofobia opera come un pregiudizio; pertanto non può essere considerata una malattia, ma un atteggiamento. Omofobi lo si diventa attraverso l’educazione e i messaggi, diretti e indiretti, che la famiglia, la politica, la religione e i media, ci trasmettono.
Infatti molto prima di avere una reale comprensione di cosa significhino le parole omosessuale, lesbica, bisessuale o transessuale, ereditiamo la convinzione che facciano riferimento a qualcosa di assolutamente sbagliato, innaturale e contrario alle norme del vivere comune; convinzione che è frutto di un “eterosessismo” culturale che penetra sia le tradizioni che le istituzioni. Alla base di molti atteggiamenti omofobici c'è anche la paura di essere identificati come omosessuali. Manifestando il suo disprezzo, l'omofobo non solo prende le distanze, ma rinforza socialmente la sua eterosessualità.

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George Weinberg (May 17, 1929 – March 20, 2017)

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Warren Blumenfeld - 27 maggio 1947

Warren Blumenfeld (1992) individua quattro diversi livelli di omofobia: il primo, personale, che riguarda i pregiudizi che un individuo nutre nei confronti di gay e lesbiche; un livello interpersonale, che si manifesta quando le persone traducono in comportamenti i loro pregiudizi. Poi ci sono altri due livelli,  quello  istituzionale, che si riferisce alle politiche discriminatorie delle istituzioni (governo, aziende, organizzazione religiose e professionali) e infine quello sociale, che si esprime attraverso i comuni stereotipi su gay e lesbiche e l'esclusione di questi dalle rappresentazioni culturali collettive.

L'omosessualità è ancora spesso una condizione innominabile nella normalità quotidiana, a meno che non sia in tono dispregiativo; capita così che il proprio compagno diventi “il coinquilino” o  che due donne che convivono e che crescono dei figli restino per sempre “amiche del cuore”. D'altro canto – invece - si sprecano le occasioni in cui un uomo che non viene riconosciuto “sufficientemente maschio da...” viene appellato come “frocio”. E' frocio chi è imbranato, è frocio chi è timido, è frocio chi è eccentrico nel vestire, è frocio un uomo che si sottrae a un rapporto sessuale con una donna, o che non condivide un certo tipo di atteggiamenti nei confronti delle donne. Infine è frocio chi non ha i piedi buoni per giocare a pallone e sbaglia rigore.

Negli anni '70, in seguito al processo di depatologizzazione dell'omosessualità, l' American Psychiatric Association iniziò a sostene che alla base della sofferenza mentale degli omosessuali vi erano la mancanza di riconoscimento umano e civile, la discriminazione e l'emarginazione.
Quali sono, dunque, le conseguenze dell'omofobia?
Le persone omosessuali subiscono fin da piccole profonde ferite all'autostima: si sentono discriminate per una caratteristica della loro personalità che è immutabile e ciò porta loro a convivere con sentimenti di inferiorità e vergogna. Questo porta alla sensazione, spesso fondata, di essere rifiutati e di essere privi di supporto da parte di chi si ha intorno; rifiuto particolarmente doloroso perché proviene delle persone che dovrebbero essere più vicine e di aiuto (genitori, familiari, amici, insegnanti, ecc). Un'altra conseguenza è l'isolamento: le persone omosessuali (specialmente quando vivono nascostamente la loro affettività) possono evitare sia i contatti con altre persone omosessuali - perché temono di essere associate a loro - sia i contatti con gli altri in generale. Molto grave è l'isolamento degli adolescenti che avviene proprio in un momento della vita in cui avrebbero bisogno di confrontarsi con i pari e con gli adulti di riferimento anche sul loro orientamento sessuale e spesso, non sapendo a chi esprimere le loro emozioni e vissuti, si sentono soli.
Le persone omosessuali che vivono in una condizione di rifiuto esercitano un costante controllo di sé, dei propri atteggiamenti e delle proprie affermazioni, nel terrore che emergano elementi rivelatori della propria condizione: non si permettono mai un gesto affettuoso in pubblico e diviene impossibile perfino godersi una romantica cena a due, perché si teme di essere riconosciuti. Molte persone omosessuali non riescono a vivere la loro vita affettiva se non a svariati chilometri di distanza dal loro luogo di residenza, dove spesso sono riconosciuti come “scapoloni” o “zitelle”. Vivono una vita piena di ansia, paura, rabbia, impotenza e depressione.

Inoltre, poiché l'omofobia porta spesso con sé una buona dose di aggressività (ben tollerata e giustificata da molti), vivere da omosessuali vuol dire anche sentire minacciata la propria integrità psicofisica. Non ci si sente mai al sicuro rispetto alle reazioni negative (reali o possibili) degli altri. Ciò suscita emozioni di allerta e incertezza continue. Ogni aggressione o discriminazione subita da una persona omosessuale, poiché non è causata da un'azione ma da quello che si è, rende gli altri omosessuali oggetti potenziali dello stesso trattamento.
Questi aspetti costituiscono il "minority stress", uno stress psicosociale che si ritrova negli individui appartenenti a una minoranza. Esso non è legato a un singolo evento, ma a un accumulo di messaggi negativi ricevuti dall'ambiente nel tempo.
Nel minority stress tre sono le dimensioni che si intrecciano e si potenziano vicendevolmente:
le esperienze vissute di discriminazione e violenza, lo stigma percepito e l' omofobia interiorizzata (cioè l'insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi che una persona può provare più o meno consapevolmente rispetto alla propria omosessuailtà).

Gli individui omosessuali, bisessuale e transessuali presentano un'incidenza del Disturbo Post Traumatico da Stress significativamente più alta rispetto agli individui eterosessuali. (Mays, Cochran, 2001; Rivers, 2011; Roberts, Austin, Corliss, 2010), una maggiore incidenza di disturbi psichici e alcolismo in tutti quei paesi dove i diritti civili delle persone omosessuali non sono riconosciuti ad es. matrimonio, esistenza di leggi contro la discriminazione, ecc... (Hatzebuehler, 2009, 2010,2012) e una maggiore vulnerabilità al suicidio.

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Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975)

In un esperimento, lo psichiatra Mark Blechner ha proposto alle persone eterosessuali di provare a non menzionare mai per un intero mese il/la marito/moglie o i loro figli in tutte le loro conversazioni.
Ciò implicava che nel descrivere un'esperienza vissuta in coppia la si sarebbe dovuta descrivere come vissuta da soli (a dire sempre "io" anche quando si dovrebbe dire "noi"), o che bisognasse riferirsi all'altro come un amico/a, oppure come una generica “persona”, senza specificarne il genere. Inoltre non era più possibile partecipare a eventi sociali insieme al partner, ma bisognava presentarsi sempre da soli.
In pratica l'esperimento suggeriva ai partecipanti di non fare altro che quello che molti gay, lesbiche o bisessuali, fanno generalmente per non rivelare la loro sessualità.
Sebbene la prova prevedesse la durata di un mese, molte persone che ne presero parte abbandonarono prima perché l’esperienza cui erano sottoposti si era rivelata profondamente destabilizzante.

 

Non ci credete? Vi invito a provare!

 

Per approfondire:
VITTORIO LINGIARDI – Citizen gay. Affetti e diritti, Ed. Il Saggiatore;
PIER PAOLO PASOLINI – Amado mio, Ed. Garzanti

 

Guarda il mio intervento durante la conferenza chi ha paura degli amori? All'interno della rassegna 50 SFUMATURE DI GENERE